LECCE -
A 37 anni di distanza, uno studio con il coinvolgimento di un docente dell’Università di Lecce fornisce nuove prove a supporto della teoria secondo la quale i corpi celesti grandi e piccoli chiamati “Complesso delle Tauridi” sarebbero il risultato della frammentazione di una grande cometa (del diametro di circa 100 chilometri), avvenuta 20mila-30mila anni fa. Il recente studio, che conferma quanto formulato nel 1984 dagli astronomi Victor Clube e Bill Napier, è stato pubblicato sulla rivista “Planetary and Space Science” ed è stato condotto dai professori di Astrofisica Ignacio Ferrin dell’Istituto di Fisica dell’Università di Medellin in Colombia e Vincenzo Orofino del Dipartimento di Matematica e Fisica “Ennio De Giorgi” dell’Università del Salento.
«Abbiamo prima di tutto vagliato l’appartenenza al Complesso di più di cento possibili candidati, trovati in letteratura, analizzando le loro caratteristiche orbitali - spiega il professor Vincenzo Orofino - Tale analisi ha portato a una prima importante conclusione: un numero superiore alle aspettative di oggetti - almeno 88 - con diametro stimato tra alcune decine di metri e pochi chilometri appartiene al complesso».
Con una tecnica fotometrica, chiamata “analisi delle curve di luce secolari”, sono state cercate le variazioni di luminosità dei singoli corpi, soprattutto in prossimità del Sole. Ed stato dimostrato che il 67% degli oggetti, di cui sono disponibili dati fotometrici, mostra attività cometaria. Ciò fornisce un forte supporto fotometrico all’ipotesi che gli oggetti del complesso hanno tutti un’origine comune e che l’evento di disintegrazione suggerito da Clube e Napier sia realmente avvenuto. Dai dati ottenuti sugli 88 membri del “Complesso delle Tauridi” si è potuto ricavare la dimensione della cometa originaria, pari a circa 120 km, in buon accordo con quanto ipotizzato da Clube e Napier.
«Il fatto che questi 88 oggetti abbiano orbite simili a quelle dei meteoroidi che cadono sulla Terra, dando luogo alla pioggia delle Tauridi, implica che anche questi grandi oggetti potrebbero collidere con il nostro pianeta – aggiunge il prof. Orofino - Ciò dovrebbe essere già accaduto in passato: un membro del Complesso potrebbe, infatti, essere stato la causa dell’evento Tunguska del 30 giugno 1908, quando un piccolo asteroide o una cometa, esplose a 5-10 chilometri sopra la superficie di una regione disabitata della Siberia. L’esplosione abbatté decine di milioni di alberi sparsi su un’area di 2.200 chilometri quadrati, senza causare vittime accertate. Gli effetti dell’esplosione si percepirono fino a Londra, dove il cielo divenne tanto luminoso da permettere addirittura la lettura del giornale nonostante fosse notte. Questo episodio mette in luce la pericolosità di questa componente del complesso, costituita da oggetti di grandi dimensioni. Se l’oggetto di Tunguska fosse arrivato con solo qualche ora di ritardo al suo appuntamento con la Terra, invece di esplodere su una regione disabitata, sarebbe caduto molto vicino alla popolosa città russa di San Pietroburgo producendo danni enormemente maggiori soprattutto in termini di perdite di vite umane. È proprio questo rischio di collisioni con la Terra che rende indispensabile studiare questi membri di grande taglia del “Complesso delle Tauridi”».
E’ necessario, secondo il docente di Lecce, determinare innanzitutto il numero esatto di questi oggetti e poi comprendere anche la loro natura e le loro caratteristiche orbitali per poter valutare, con sufficiente anticipo, la probabilità di impatto e la regione della Terra eventualmente coinvolta, al fine di approntare le opportune strategie di difesa planetaria.