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Uno studio sulla mandorla pubblicata sulla rivista scientifica Science

  • In FOGGIA
  • lun 24 Giugno 2019
Uno studio sulla mandorla pubblicata sulla rivista scientifica Science
La professoressa Concetta Lotti dell'Università di Foggia

Svela la mutazione della mandorla da immangiabile a commestibile, grazie all'Università di Foggia

FOGGIA - Le mutazioni sul mandorlo, ed in particolare del seme che da amaro e immangiabile l’uomo ha portato ad essere dolce e commestibile, frutto di uno studio del Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Foggia, è stato pubblicato sulla rivista scientifica internazionale “Science”, considerata un ‘vangelo laico’ della ricerca scientifica.

La pubblicazione del report universitario sulla rivista internazionale è la prima in assoluto ed è avvenuta sul numero del 14 giugno 2019 con il titolo “Mutation of a bHLH transcription factor allowed almond domestication” (in italiano "La mautazione di un fattore di trascrizione bHLH ha consentito l'addomesticamento della mandorla"). Lo studio è frutto della stretta collaborazione che il Dipartimento di Scienze Agrarie, degli Alimenti e dell’Ambiente dell’Università di Foggia ha avviato con l’Università Aldo Moro di Bari, l’Università di Copenaghen e il centro ricerca Cebas-Csic di Murcia (Spagna).

I ricercatori delle 4 istituzioni accademiche hanno focalizzato i loro studi su una specie di mandorlo appartenente alla famiglia delle Rosaceae la cui parte edibile è il seme. Quest’ultimo, originariamente, era amaro, ma l’uomo – con la domesticazione della specie – ha selezionato il seme dolce. La domesticazione di molte specie vegetali ha spesso implicato l’eliminazione da organi della pianta di composti di difesa dal sapore sgradevole o addirittura tossici per l’uomo. Ed un eccellente esempio, a riguardo, è dato proprio dal mandorlo, le cui specie selvatiche producono semi amari e letali anche se assunti in modeste quantità. Ciò è dovuto all’accumulo, all’interno dei cotiledoni, di amigdalina, un glucoside che rilascia cianuro a seguito della ingestione. Lo studio pubblicato da “Science” evidenzia come il genoma del mandorlo, dislocato su 8 cromosomi e di dimensioni di circa 250 milioni di basi nucleotidiche, contenga circa 28.000 geni. Attraverso la ricerca è stato possibile identificare la proteina (fattore di trascrizione) che regola la biosintesi dell’amigdalina e caratterizzare una mutazione responsabile del sapore dolce dei semi, selezionata dall'uomo nel primo Olocene (circa 10.000 anni fa) nella regione della Mezzaluna Fertile.

«Questa mutazione – argomenta la professoressa Concetta Lotti, associata di Genetica agraria al Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Foggia – consiste nel cambiamento di una sola base nella sequenza del fattore di trascrizione sarebbe determina il cambiamento di un solo aminoacido nella sequenza della proteina corrispondente». I risultati scaturiti dagli studi di sequenziamento del Dna del mandorlo e di isolamento del gene responsabile dell’amarezza, rivestono notevole rilevanza sia perché forniscono informazioni relative alle basi genetiche della domesticazione del mandorlo sia per il futuro miglioramento genetico della drupacea, specie che è coltivata a livello mondiale su quasi 2 milioni di ettari e diffusissima nelle regioni meridionali d’Italia, determinando grande interesse anche da parte dell’agro-industria. Per il Dipartimento di Scienze Agrarie, degli Alimenti e dell’Ambiente dell’Università di Foggia la ricerca è stata appunto condotta dalla professoressa Lotti e dalla dottoressa Francesca Ricciardi (ex dottoranda afferente al Dipartimento di Scienze Agrarie), mentre per l’Università Aldo Moro di Bari è stata invece condotta dai professori Luigi Ricciardi e Stefano Pavan e dalla dottoressa Rosa Mazzeo.

È la prima volta che il Dipartimento di Scienze Agrarie, degli Alimenti e dell’Ambiente può vantare la pubblicazione di un suo studio sulla rivista “Science”. Ed è un risultato a suo modo storico che la professoressa Lotti commenta così: «Condivido con tutto il Dipartimento questo importante risultato che testimonia l'eccellenza scientifica della nostra ricerca e del nostro Ateneo».


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