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Nuova tecnica d’indagine sulle nanoparticelle dall’UniSalento

  • In LECCE
  • ven 03 Agosto 2018
Nuova tecnica d’indagine sulle nanoparticelle dall’UniSalento

A metterla a punto sono stati i ricercatori di Chimica analitica con l’IIT di Genova

LECCE - Il gruppo di ricercatori di Chimica Analitica dell’Università del Salento, in collaborazione con l’Iit – Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, ha messo a punto una nuova tecnica per l’indagine del destino chimico di nanoparticelle metalliche inglobate nelle cellule. Si tratta dello “Sputtering-Enabled Intracellular X-ray Photoelectron Spectroscopy” (Sei-Xps).

Si tratta di uno studio importante sia per l’ambiente che per la salute dell’uomo in quanto le nanoparticelle si trovano ovunque ed interagiscono con gli organismi con conseguenze ancora non note. Ed è proprio per cercare di scoprire sia i comportamenti delle nanoparticelle che il modo di agire che si è arrivati a mettere a punto la nuova tecnica d’indagine. Tecnica che consente di fare o di supportare ipotesi di natura biologica sulle interazioni nanoparticelle-cellule, in quanto produce informazioni non raggiungibili con le tecniche di microscopia e di spettroscopia di analisi elementare, oggi comunemente impiegate, e apre importanti orizzonti d’indagine sia in campo medico sia ambientale per la scoperta di pericoli ma anche di opportunità.

La Sei-Xps combina la capacità di un cannone ionico, accuratamente programmato, di rimuovere i sottili strati di cellula che ricoprono le nanoparticelle internalizzate fino a raggiungerle, con quella Xps di analisi delle specie chimiche (non solo di analisi elementare) che sono sulla superficie delle nanoparticelle. In pratica questa tecnica permette di irradiare un campione con raggi X per far emettere elettroni agli atomi presenti in superficie. La misura della loro energia consente di sapere quali elementi sono presenti in superficie e di quali composti chimici fanno parte e quindi di comprendere per esempio se la superficie, il luogo dell’interazione con il mezzo cellulare, sta andando incontro a un processo di ossidazione, primo atto della demolizione della nanoparticella, oppure è rimasta integra.

A spiegare meglio questa metodologia d’indagine è il professor Cosimino Malitesta coordinatore del gruppo di ricerca che afferma: «Le nanoparticelle sono ormai diffusissime nell’ambiente e questo perché, prima di tutto, sono numerose le applicazioni sia attuali che attese. Pensiamo, per esempio, agli antibatterici contenuti in diversi prodotti di largo uso (dentifrici, saponi, creme, eccetera) o alle prospettive di utilizzo di vettori per il trasporto di farmaci verso precisi organi bersaglio o tumori o altro del genere. Inoltre le nanoparticelle vengono prodotte come conseguenza di alcune attività umane, per esempio il particolato atmosferico fine, prodotto nei processi di combustione o in certi processi industriali, oppure le nanoplastiche che sono il prodotto di degradazione dei materiali plastici dispersi nell’ambiente. Tutte queste diverse nanoparticelle interagiscono con gli organismi con conseguenze in buona misura ancora non note. Il nostro studio è stato mirato per questo a mettere a punto uno strumento capace di mostrarci a quali trasformazioni chimiche vanno incontro le nanoparticelle quando vengono inglobate e interagiscono con il mezzo cellulare, per comprendere come evitare il danno o come migliorare l’efficienza dell’interazione, se desiderata».

La ricerca è stata recentemente presentata sulla prestigiosa rivista internazionale ACS Nano, pubblicata dall’American Chemical Society, tra le prime riviste al mondo nel campo delle nanoscienze e nanotecnologie.


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