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L’endocardite si può curare con una nuova tecnica chirurgica

  • In BARI
  • mer 02 Marzo 2022
L’endocardite si può curare con una nuova tecnica chirurgica
Il dottor Giuseppe Nasso

Lo studio dei cardiochirurghi dell’Anthea Hospital per sostituire protesi valvolari

BARI - L’endocardite può essere curata con la sostituzione di protesi valvolari per aumentare le chance di sopravvivenza dei pazienti operati. Si tratta di una tecnica innovativa che consente di ridurre la mortalità ed è stata messa a punto dai medici della Cardiochirurgia dell’Anthea Hospital di Bari, coordinati dal dottor Giuseppe Nasso, responsabile del reparto.

Il risultato è giunto dopo una raccolta di dati degli ultimi 13 anni, pubblicato, insieme con altra ricerca, sulle riviste internazionale Reviews in Cardiovascular Medicine e Scientific Reports. I due importanti studi sono relativi rispettivamente ai predittori per il trattamento dell’endocardite e ad una nuova tecnica per il trattamento e la riparazione dei tessuti cardiaci compromessi dall’endocardite su protesi valvolare aortica e complicate da ascesso aortico, su un sottogruppo di pazienti ad alto rischio di mortalità come conseguenza dell’infezione.

L’endocardite è una grave infezione del cuore e delle valvole cardiache; l’incidenza nel corso degli ultimi 20 anni è in costante aumento, e questo per diversi motivi, tra cui anche una scarsa profilassi antibiotica in occasione di manovre invasive (come ad esempio procedure dentarie). Spesso l’endocardite colpisce soggetti già operati al muscolo cardiaco e in particolare i portatori di valvole artificiali. Questi ultimi sono soggetti fragili che, quando contraggono la patologia, presentano una mortalità ad 1 anno che può arrivare fino al 75% (indice elevato, si consideri ad esempio che la mortalità per Covid è dello 0,1%). L’endocardite su protesi valvolare (Pve Prosthetic valve endocarditis) ha una mortalità nei pazienti che ne sono affetti del 30%, percentuale che aumenta ulteriormente nei casi in cui vi sia la presenza di ascesso sull’anello aortico, nel deflusso ventricolare sinistro, sul trigono fibroso o sull’anello mitralico.

In questi casi, un intervento chirurgico tempestivo può essere essenziale, perché la terapia antibiotica da sola risulta spesso inadeguata ad arrestare l’effetto distruttivo dell’infezione. Lo studio pubblicato, tra le ricerche più rilevanti del panorama mondiale nell’ambito delle patologie cardiovascolari, ha presentato alla comunità scientifica i risultati di uno studio con dati raccolti nell’arco di 13 anni e ha dimostrato che la nuova metodica di intervento attesta la mortalità a 30 giorni all’8,5% contro una mortalità anche del 30% con tecnica tradizionale.

“Quando la protesi valvolare è attaccata dall’endocardite è necessario un nuovo intervento a breve termine – spiega il dott. Giuseppe Nasso – Abbiamo ideato una tecnica di impianto per trattare una patologia grave con una metodica innovativa efficace che prevede la rimozione della protesi infetta e l’impianto di una nuova valvola, la quale viene applicata non più sul tessuto colpito tramite patch (una “toppa” di tessuto biologico), come con la tecnica tradizionale, ma in una posizione molto più alta rispetto all’anulus aortico (ovvero l’anello fibroso che contorna la valvola aortica),fake rolex e quindi su tessuto sano. Così facendo le pareti ripulite dall’infezione rimangono aperte permettendo una migliore guarigione. Questa tecnica, che utilizziamo ormai come procedura standard, sembra una piccola innovazione ma porta a risultati straordinari”.

Le endocarditi su protesi aortica che sviluppano anche una completa deconnesione del ventricolo all’aorta sono rare e quando capitano hanno prognosi molto gravi, ma nel periodo oggetto dello studio, i pazienti trattati con questa procedura innovativa sono stati 47 e Il follow up lungo ha consentito una verifica della validità di questa tecnica e della tenuta degli impianti a distanza di diversi anni. Grazie a questa metodica l’indice di mortalità si è significativamente ridotto: le probabilità di sopravvivenza a 3, 7, 9 anni sono rispettivamente del 97%, 87,5% e del 75%.

I 47 pazienti sottoposti a sostituzione valvolare aortica per Pve che non rispondevano alle terapie antibiotiche - oggetto di studio - avevano un’età media di 70 anni (range tra i 46 e gli 80 anni), suddivisi in 25 uomini e 22 donne. Il primo step della nuova tecnica consiste nel posizionare i punti di aggancio della nuova protesi circa 5-7mm sopra l’ascesso che coinvolge l’anello aortico. In secondo luogo la protesi viene fissata alla parete aortica in corrispondenza del tessuto sano. Infine, la valvola viene ancorata definitivamente all’altezza del seno di Valsalva tramite suture dall’esterno all’interno con una “striscia di Teflon”.

Nessun paziente operato mediante questa nuova tecnica ha presentato insufficienze peri-protesiche o ha avuto ricadute di endocarditi. Questa metodica alternativa può dunque dare ottimi risultati a lungo termine nei casi di infezioni su protesi complicate da ascesso aortico paranulare. Tutti i pazienti sono seguiti con un follow up ogni 6 mesi dopo l’intervento. Le visite includono un esame fisico, elettrocardiografia ed ecocardiografia transtoracica.

Insieme con il dottor Nasso, hanno contribuito allo studio i dottori Giuseppe Speziale, coordinatore Cardiochirurgie Gvm Care & Research, Nicola Di Bari, Marco Moscarelli, Flavio Fiore, Ignazio Condello e Giuseppe Santarpino.


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